Presentate l'istanza se potete documentare il pagamento ed eviterete la decadenza
Riguardo alla possibilità di recuperare l’Iva sulla tassa per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti sono state diffuse in questi giorni notizie inesatte e idonee a creare, almeno in parte, solo vane aspettative.
In primo luogo, è bene evidenziare che la possibilità di recuperare l’iva pagata in aggiunta all’onere per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani non è cosi certa come appare dalle notizie diffuse. È vero che esiste una sentenza della Corte di Cassazione (n.17256/2007) che giustifica una previsione ottimistica sulla possibilità di recuperare l’Iva indebitamente versata, ma si tratta di un percorso lungo sul quale probabilmente si registrerà un’opposizione ferrea dell’Agenzia delle Entrate, dei Comuni e degli Enti che gestiscono il tributo per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani.
In secondo luogo, appare assai improbabile (se non impossibile) recuperare tutta l’Iva indebitamente versata negli ultimi dieci anni, potendo al massimo avere diritto al rimborso dell’Iva versata nei cinque anni precedenti la data di presentazione dell’istanza di rimborso, esistendo una norma (art.1, comma 164, L. 296/06) che sancisce il suddetto termine di decadenza per tutti i tributi locali.
Quest’aspetto da solo rende evidente che il beneficio effettivo della procedura può rivelarsi nullo tenendo conto dei costi necessari per avviare il procedimento, anche se non è necessaria, almeno nella maggioranza dei casi, l’assistenza di un legale o di un altro soggetto abilitato alla rappresentanza presso le Commissioni Tributarie, scattando l’obbligo allorché l’imposta di cui si chiede il rimborso è pari almeno a 2582,28 euro.
Ciò non significa che non c’è nulla da fare, anzi è necessario attivarsi immediatamente, presentando al più presto l’istanza di rimborso, per evitare di “decadere” dalla possibilità di chiedere il rimborso dei pagamenti eseguiti negli ultimi cinque anni.
Prima di passare alla fase operativa, affronteremo ciascuno degli argomenti in esame, in modo da esplicitarne il contenuto e risolvere i possibili dubbi emersi in questi giorni.
L’applicazione dell’Iva sull’importo dovuto per lo smaltimento dei rifiuti è frutto del passaggio dalla vecchia TARSU (Tassa Rifiuti Solidi Urbani) alla TIA (Tariffa per l’igiene Ambientale).
I Comuni che sono passati alla tariffa applicano sulla stessa l’Iva in misura del 10%, poiché attribuiscono alla tariffa non più la natura di tributo, bensì quella di corrispettivo correlato al servizio reso.
L’applicazione dell’Iva è dunque giustificata dalla qualificazione giuridica dell’onere che si paga per lo smaltimento dei rifiuti: giacché la norma utilizza il termine tariffa, si è ritenuto attribuire la natura di corrispettivo alla somma dovuta con conseguente applicazione dell’Iva, ai sensi dell’art. 3 del DPR 633/72 (presupposto oggettivo).
Questa interpretazione è stata confermata dall’Agenzia delle entrate in due occasioni: nel 2003, con la risoluzione n. 25 e nel 2008, dopo la sentenza della Cassazione di cui si è accennato (n.17256/2007), emessa nel 2007, con la risoluzione n. 250.
Le risoluzioni, tuttavia, sono atti d’interpretazione interna, che non producono alcun effetto vincolante all’esterno della pubblica amministrazione nei confronti dei cittadini e, sopratutto, dei giudici.
Sono “meri pareri di parte” (usando un’espressione non tecnica, ma certamente molto esplicativa) che, per quanto autorevoli, rimangono espressione di un soggetto non terzo.
Altra cosa è il valore dell’interpretazione fornita dai giudici, organi terzi, e tra questi evidentemente assume rilievo principale il giudizio della Corte di Cassazione che, pur vincolando solo le parti dei singoli processi, diviene punto di riferimento per tutti gli altri interpreti del diritto, tra cui ovviamente tutti i giudici di merito chiamati a esaminare casi simili.
Le pronunce della Corte di Cassazione non sono univoche, ma la Suprema Corte ha modificato il suo orientamento giungendo in ultimo a pronunciarsi per la natura tributaria della Tia.
Infatti, in un’ordinanza del 2006 (ordinanza n. 3274 del 2006) la Cassazione, convocata a sezione riunite, aveva asserito la natura non tributaria della Tia, attribuendo la giurisdizione al giudice ordinario piuttosto che alle Commissioni Tributarie.
Solo un anno dopo la sezione tributaria della Corte ha modificato il suo orientamento con la sentenza già citata, attribuendo alla Tia, natura di tassa e, pertanto, di oggetto di giurisdizione delle Commissioni.
Inoltre, successivamente, con la sentenza 25551/2007, la Corte di Cassazione ha ribadito indirettamente la natura tributaria del Canone per lo smaltimento dei rifiuti, nonostante l’Agenzia delle entrate abbia utilizzato in modo errato una parte della sentenza, attribuendole un significato diverso e contrario a quello effettivo.
Queste sentenze sono il sostegno principale all’istanza di rimborso, ma non l’unico.
Il secondo punto fondamentale riguarda il numero di annualità per le quali si può avanzare l’istanza di rimborso.
Non è possibile recuperare l’Iva pagata negli ultimi dieci anni. Questo è il termine ordinario di prescrizione di tutti i crediti, che, tuttavia, non è applicabile ai crediti di natura tributaria.
Infatti, com’è stato detto, per ottenere il rimborso occorre dimostrare che la Tia è una tassa, ossia un tributo. Ebbene, se i giudici convengono con questa interpretazione dell’art. 49, del D.Lgs. 22/97, non possono non applicare allora l’articolo 1, comma 164, L.296/06 che limita sancisce il termine quinquennale per l'esercizio del diritto al rimborso.
Si potrebbe in merito affermare che conviene chiedere tutta l’Iva indebitamente pagata e sperare che nessuno obietti la decadenza di 5 anni.
In verità, soprattutto in sede di ricorso alla Commissione Tributaria (prima del ricorso occorre presentare l’istanza di rimborso al Comune o all’ente gestore) chiedere più di quanto si ha diritto è poco conveniente: il ricorrente ha interesse al rimborso delle spese del ricorso ed è molto probabile che, se chiede più di quanto ha diritto, la Commissione Tributaria decida di compensare le spese tra le parti.
Oltretutto vi è una ridotta probabilità che il termine di decadenza di cinque anni non sia rilevato né dal Comune o dall’Ente gestore, né dai giudici.