Nuova sentenza della Corte di Cassazione in materia di Irap

E’ ormai consolidata la giurisprudenza della Corte di Cassazione che riconosce ai professionisti che non devono pagare l’Irap, quando non hanno una propria organizzazione ossia svolgono l’attività senza l’ausilio di collaboratori e con i beni strumentali minimi o, comunque, non eccedenti l’entità che secondo il senso comune rientrano nella dote di base del professionista.

Questa tesi è confermata dalla sentenza n. 29146 del 2008, che ha negato il diritto al rimborso al professionista che si avvale di un solo collaboratore. E’ evidente che per svolgere qualunque professione intellettuale non è necessario alcun collaboratore e la presenza dello stesso è indicativa di un qualcosa che eccede l’essenziale per lo svolgimento della professione.

Era, pertanto, prevedibile la decisione della Suprema Corte di accogliere il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, che aveva impugnato una sentenza della CTR dell’Emilia Romagna che, nonostante la presenza di un dipendente nello studio di un consulente tributario, aveva ritenuto lo stesso privo d’autonoma organizzazione e, pertanto, non soggetto all’imposta regionale sulle attività produttive per mancanza del presupposto di cui all’art.2 del DPR 461/97.

Ciò che, tuttavia, si vuole evidenziare è un principio che la sentenza enuncia riguardo alle spese del giudizio.

Infatti, dopo aver negato il rimborso al fiscalista, però, i giudici hanno deciso di compensare le spese del giudizio, motivando quest’ulteriore parte del dispositivo, con la circostanza che il ricorso introduttivo era stato notificato prima che si fosse formata la giurisprudenza di legittimità in materia.

Questo passo della sentenza può tornare molto utile a chi intenda impugnare il diniego del rimborso da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Il professionista privo di autonoma organizzazione, che si vedesse negare il rimborso dall’Agenzia delle Entrate, al momento dell’impugnazione del diniego, ove l’Ufficio competente  ritenesse di dover continuare a resistere in giudizio e difendere il suo operato, potrà citare la sentenza indicata e far presente ai giudici aditi, che un comportamento del genere deve essere considerato temerario, tenuto conto della circostanza che ormai la questione non ha più il carattere di novità che le si poteva attribuire prima delle pronucie della Corte di Cassazione.