Dalla Cassazione una sentenza molto utile in caso di rifiuto a rimborsare l’Iva sulla Tia

La Corte di Cassazione con la sentenza 18487 del 19 agosto scorso ha ribadito un concetto molto semplice: in caso d’indebita applicazione dell’Iva, legittimato a chiedere il rimborso all’Erario è sempre il cedente o il prestatore del servizio e mai il cliente (tra cui i consumatori finali).

 

Questo principio sarà molto utile in caso di contenzioso in materia di Tia per il recupero dell’Iva indebitamente pagata.

Non è improbabile, infatti, che gli Enti locali interessati possano rifiutare il rimborso, asserendo che a tal fine ci si debba rivolgere all’Erario, destinatario finale dell’Iva pagata dal cittadino in modo indebito.

E’ già accaduto, infatti, che nella fase contenziosa, precedente all’ormai nota sentenza 238/2009 della Corte Costituzionale, alcuni Enti locali abbiano utilizzato questa tesi difensiva, oltre a quella, ormai definitivamente confutata, della natura meramente tariffaria della Tia.

La sentenza 18487/2009 citata ci consente di potere affermare, con maggiore cognizione di causa, che chi vuole avere a rimborso l’Iva sulla Tia deve rivolgersi all’Ente gestore, incombendo semmai su quest’ultimo, in qualità di prestatore del servizio e responsabile di tutti gli obblighi connessi all’Iva (fatturazione, registrazione, dichiarazione, ecc), l’azione di rimborso (ove spettante) verso l’Erario.

Resistere in giudizio contro un diritto oramai sancito dalla Corte Costituzionale, con simili ragioni o altre scuse similari, potrebbe costare molto caro agli Enti che gestiscono la Tia, che oltre a dovere ritornare l’Iva al cittadino che si attiva per il rimborso, a perdere il diritto alla detrazione sull’Iva pagata sui propri acquisti attinenti il servizio di raccolta rifiuti, potrebbero essere ulteriormente condannati a pagare le spese legali ed il risarcimento per lite temeraria al cittadino che adisse le vie giudiziarie.